Quando “Borgo” vuol dire comunità viva.

Il Borgo della Pieve: una storia lunga nove secoli.

di Giacinto Cecchetto

Nel 1152, cioè mezzo secolo prima che i Trevigiani mettessero mano alla costruzione del Castrum francum (così veniva chiamato il castello di Castelfranco nei documenti medievali), già esisteva la comunità della Pieve di Santa Maria Nascente, citata in una bolla di papa Eugenio III tra i possedimenti di Bonifacio, vescovo di Treviso. Ecclesiam Sancte Marie de Plebe Nova cum pertinentiis suis: questo il brano del documento pontificio che testimonia la presenza di una pieve sul luogo dove oggi sorge la chiesa attuale, di una pieve di recente istituzione e costruzione (Plebe Nova), di una pieve che, in quanto tale, svolgeva funzioni di chiesa madre e battesimale (ne è prova l’antico fonte battesimale datato 1368) per un territorio assai ampio all’intorno (cum pertinentiis suis = con il territorio di sua giurisdizione), ricomprendente, nel 1344, anche le chiese, e relative parrocchie, di S. Daniele di Treville, di S. Andrea oltre il Muson e di S. Bartolomeo di Resana.

Dopo l’edificazione del castello (circa 1195-1199), l’antichità e il primato della Pieve, detta di fuori per il suo collocarsi all’esterno delle mura, diverrà oggetto di secolari contrasti con la chiesa di S. Liberale, detta di dentro. Tuttavia, a dimostrazione dell’importanza di Santa Maria Nascente, nel 1245 il pievano di fuori, Alberico, partecipava all’elezione del nuovo vescovo di Treviso, Gualtiero, in luogo del pievano dell’ancor più antica pieve di Godego.

Un libro intero non sarebbe sufficiente per raccontare i nove secoli della storia documentata del Borgo Pieve e della sua comunità. E, non casualmente, ritengo di associare il toponimo “Borgo Pieve” a “comunità”, perché diversamente dagli altri “borghi” storici di Castelfranco (il Borgo di Treviso, il Borgo di Asolo, il Borgo di Bassano, il Borgo di Cittadella e il Borgo Allocco), il Borgo della Pieve nasce intorno ad una chiesa, pievana e battesimale per giunta, stabilendo, pur nell’anomala struttura abitativa, disposta lungo un antico asse stradale, forse di epoca romana, un legame assai forte tra le persone e le famiglie che il Borgo abitarono e abitano.

Questo è il tratto distintivo che differenzia storicamente, su piani diversi, il Borgo della Pieve dagli altri borghi castellani. Piani diversi, riconoscibili, anzitutto, nella consapevolezza di una consolidata tradizione cultuale alla Natività di Maria, dedicazione che affonda le proprie radici nel Medioevo profondo, nella rivendicazione spesso dura, contro S. Liberale, del diritto cosiddetto di “matricità”, cioè di aver dato origine alla chiesa interna alle mura, nella stessa economia, connotata da attività artigianali, piuttosto che commerciali.

Che intorno alla Pieve, sino al ‘400, si concentrasse, di fatto, la vita religiosa di Castelfranco Veneto, è attestato dalla dislocazione dei due primi conventi fondati in città: quello dei Minori Conventuali, proprio dirimpetto la Pieve, documentato all’inizio del sec. XV, ma forse esistente sin dalla fine del XIV, provvisto di chiesa, soppresso nel 1771 e successivamente demolito, e quello dei Servi di Maria, con chiesa officiata dedicata a S. Giacomo Apostolo, eretto nel 1420, soppresso nel 1772 dalla Repubblica Veneta con assegnazione conseguente del chiostro alla Comunità castellana, ad usi scolastici, e della chiesa alla stessa Comunità, con jus parochiale perpetuo accordato alla Pieve.

Per la verità, i rapporti tra i pievani di S. Maria e i frati Minori Conventuali non furono sempre dei migliori, come narra pre’ Marc’Antonio Savio, pievano di S. Maria dal 1600 al 1624, in un suo manoscritto del sec. XVII conservato nell’Archivio della Pieve: L’hora della Messa Parochiale non è statuita, essendo in petto del Piovano, ma l’ordinario è dirla a due hore di giorno in circa, et questo si fa per dui rispetti, l’uno è perché il populo ha piacere, l’altro è per la odiosa concorrenza che vogliono haver con questa Chiesa li R.di Frati di Sant’Antonio a lei vicini, i quali usano tanta diligenza, o sia ansietà in sonare le sue campanelle alle loro Messe per anticipar l’hora della Parochiale et raunar il populo in chiesa loro, che è forza ben spesso di confondere il buon ordine, et tal volta interrompere il fillo del Sermone che col continuo et indiscreto suono delle sue campane viene studiosamente turbato, onde il Sacerdote riceve molestia d’animo, et il populo, che è amante delle messe brevissime, et dovrebbe attendere ad imparar dal Parocho alcun documento, quando sente il sonello della Messa de Frati, sibene è a mezzo il Sermone, esce correndo di chiesa, et và alla più breve Messa et con tal brutta et danosa sollecitudine perde per causa d’altri, molti et grandi benefitij che stando alla Messa del Piovano forse acquisterebbe. […] Al qual disordine spero di poter un giorno rimediare con l’aiuto di Dio a fine che la mia Chiesa debba esser rispettata.

Quanto alle relazioni con S. Liberale, un momento-chiave fu la definizione dei confini tra le due parrocchie, avvenuta il 6 agosto 1584, per mano del visitatore apostolico, mons. Cesare de Nores, vescovo di Parenzo, il quale, giunto a Castelfranco e accertata l’inesistenza di confini certi tra le due chiese curate della Pieve e di S. Liberale, decretò gli ambiti geografici entro cui i rettori di dentro e di fuori avrebbero svolto la propria attività pastorale e determinò la divisione delle prebende. Alla Pieve furono assegnati il Borgo Allocco (l’attuale via Roma), a partire dal monastero delle Domenicane (incluso) (l’ex-Casa di Ricovero in via Cazzaro), il Borgo della Pieve propriamente detto, il Borgo di Treviso, compreso il convento e la chiesa dei Cappuccini (che sorgeva dove ora esiste la Casa di Riposo e che sino alla metà degli anni ’60 dello scorso secolo fu adibito ad Ospedale), sino al ponte detto dei Cadorini (attuale incrocio tra le vie S. Pio X e Regina Cornaro), e l’intero comparto delle due Bastie orientali (Vecchia e Nuova). Alla giurisdizione parrocchiale di S. Liberale furono attribuiti i quartieri del castello, il comparto di edifici prospettanti sulla piazza del mercato, con inizio dal ponte dei Cadorini, il Borgo d’Asolo, il Borgo di Bassano e il Borgo di Cittadella. Nel riconoscere l’antichità della Pieve (antiquitus Plebem esse constat), mons. Nores affermò i diritti della pieve medesima, incluso il rango di ‘matrice’ di S. Liberale, con ciò riaprendo, purtroppo, aspre vertenze che continueranno sino all’inizio del ‘900.

L’accentrarsi della vita politica ed economica dentro e a stretto ridosso del castello (piazza del mercato) non favorì lo sviluppo urbanistico del Borgo della Pieve almeno sino alla fine dell’800. Nel corso del secolo XVIII, si registrano la ricostruzione della chiesa pievana, sul luogo della precedente, iniziata nel 1777 grazie alle contribuzioni ed elemosine de’ parochiani, completata in due momenti successivi nel 1805 e nel 1821 e consacrata il 9 ottobre 1825 dal vescovo di Treviso mons. Giuseppe Grasser, come attesta l’iscrizione all’interno della chiesa, murata sopra la porta di meridione. Quanto alla canonica, essa fu costruita su progetto dell’architetto Fausto Scudo nel 1934, distrutta da bombe alleate tra il 26 e il 29 dicembre 1944 e ricostruita tra il 1946-1947. Lo svettante campanile sfuggi alla distruzione solo per un puro miracolo, essendo stata colpita da una bomba la sola sua base, all’angolo nord-est, come ricorda una lapide poi murata esattamente su quel punto. L’antico cimitero disposto nei pressi della chiesa viene abbandonato per il nuovo Cimitero centrale, allestito tra il 1865 e il 1869.

Sul lato opposto, rispetto alla Pieve, è situata l’attuale Scuola parrocchiale, fino al 1993 sede delle Madri Canossiane, che non nacque come scuola, quale divenne dal 1885, bensì, fin dalla seconda metà del ‘700, come trattura da seta, cioè un impianto artigianale di proprietà della famiglia Moletta, dove parecchie decine di addetti bollivano in fornelli i bozzoli dei bachi, separando le larve dall’involucro, per poi avviare il procedimento della filatura (trattura) della seta.

La storia del Borgo e della sua comunità cambia certamente alla fine dell’800, con la costruzione della prima stazione ferroviaria nel 1877, anno di apertura della linea ferroviaria Treviso-Vicenza. La ferrovia, ovunque nel mondo, sconvolge antichi equilibri. Il Borgo viene tagliato in due e per raggiungere il settore a sud dei binari sarà necessario fare i conti con un passaggio a livello, chiuso poi nel 1917, in piena Prima Guerra Mondiale, essendo stato costruito in quell’anno il cavalca ferrovia. Nel 1893 si costruisce l’Asilo Infantile che sarà poi sopraelevato all’inizio del secolo successivo. Nel 1911 si costruisce una nuova e più ampia stazione ferroviaria e l’anno precedente viene inaugurata la Gran Via (attuale viale Brigata Cesare Battisti), collegante la stazione e il Borgo di Treviso. Cambia anche l’assetto viario del Borgo. Tra il 1907 e il 1909, il Comune provvede alla copertura del Musoncello (lato est) e del Musonello (lato ovest), ovviando, in tal modo, a gravi problemi igienico-sanitari e al disagio degli abitanti che, sul fianco ovest del Borgo, dovevano raggiungere le loro case superando ponticelli sopra la roggia. Ma più che il gran numero di opere pubbliche sarà l’arrivo delle fabbriche a introdurre notevoli mutamenti nel tessuto sociale della comunità della Pieve e dell’intera Castelfranco, quando cioè, nel 1908, centinaia di operai e di operaie entreranno per la prima volta nelle due neonate industrie della F.E.R.V.E.T. (acronimo di: Fabbricazione e Riparazione di Vagoni e Tranway), e del Cotonificio Viganò (situato dove ora si trova il grande parcheggio ad est della stazione).

Sono trascorsi cent’anni da quell’ondata di profonde incisioni nell’antica struttura del Borgo, ma oggi il Borgo della Pieve e le stesse fibre umane della sua comunità vivono nuovi e inediti cambiamenti, diversi, certo, dal passato, eppure nel solco di una storia che per secoli ha connotato questo particolarissimo ‘brano’ della città, sempre soggetto a sfide, ad intraprese, ad incontri, a confronti, a scambi, quasi un ‘destino’, proprio di chi, per secoli, ha visto passare di fronte alle proprie case mercanti e viaggiatori francesi, fiamminghi, tedeschi in viaggio verso la Serenissima.

Dott. Giacinto Cecchetto